Negli ultimi mesi il caso Google ha riportato all’attenzione un tema che molte aziende tendono a sottovalutare: la vulnerabilità del fattore umano.
A giugno 2025 il colosso statunitense è stato vittima di un attacco di vishing, una variante del phishing basata sull’uso della voce. In questo episodio i criminali non hanno cercato di violare i server dell’azienda né di rubare password, ma hanno puntato su una strategia più semplice e purtroppo molto efficace: sfruttare un partner esterno. Fingendosi tecnici autorizzati, sono riusciti a convincere un dipendente a concedere accesso remoto alle proprie postazioni. Da quel momento, l’intrusione è diventata possibile e ha portato all’esportazione di dati aziendali sensibili, come elenchi di indirizzi e-mail, numeri di telefono e log operativi.
Google ha specificato che gli account personali degli utenti non sono stati compromessi, ma il problema non è meno rilevante. Le informazioni sottratte possono essere utilizzate per creare messaggi falsi dall’aspetto credibile, per orchestrare truffe mirate o per arricchire campagne di social engineering. Il caso evidenzia come la sicurezza non sia fatta soltanto di firewall o sistemi di autenticazione: spesso ciò che apre la porta a un attacco è l’errore in buona fede di una persona convinta di parlare con un interlocutore affidabile.
Il vishing, rispetto al phishing tradizionale, introduce un elemento psicologico ancora più potente: la voce. Una telefonata con il giusto tono, qualche informazione reale raccolta in precedenza e una richiesta apparentemente legittima bastano onde evitare sospetti e guidare l’utente a compiere azioni rischiose. È proprio la combinazione tra dati autentici, contatto diretto e urgenza simulata a rendere questo tipo di attacco estremamente efficace. Inoltre, la disinformazione che spesso circola a seguito di episodi simili può creare terreno fertile per truffe successive, alimentando panico e confusione.
Ogni incidente di questo tipo lascia effetti significativi anche quando non si traduce in una compromissione di massa: possibili danni reputazionali, richieste risarcitorie, controlli da parte del Garante Privacy e perdita della fiducia dei clienti. La lezione più evidente riguarda però la gestione dei partner: la sicurezza dell’ecosistema aziendale dipende anche dal livello di maturità dei fornitori esterni, e non è raro che l’anello più debole della catena sia proprio un soggetto terzo.
Da questo caso emergono indicazioni utili a qualsiasi organizzazione. In primo luogo, la necessità di valutare regolarmente la sicurezza dei propri fornitori attraverso audit periodici e verifiche dedicate, come quelli proposti da UC Group nella sezione Audit & Compliance (https://www.uc-group.it/servizi/audit-compliance ). Un altro elemento fondamentale riguarda la gestione degli accessi: limitare le autorizzazioni applicando il principio del “least privilege” riduce l’impatto di eventuali intrusioni. A ciò si aggiunge l’esigenza di rafforzare gli strumenti tecnici, adottando passkey, autenticazione multifattore e monitoraggio costante degli accessi remoti, tutti aspetti al centro dei servizi Cybersecurity (https://www.uc-group.it/servizi/cybersecurity ).
La formazione continua del personale rimane una delle risposte più efficaci. Le simulazioni di phishing e le esercitazioni periodiche insegnano a riconoscere segnali di allarme che, nella vita lavorativa quotidiana, possono sfuggire. UC Group offre percorsi specifici di awareness e training (https://www.uc-group.it/servizi/formazione-cybersecurity ), progettati proprio per aumentare la capacità di reazione dei dipendenti.
Dal punto di vista normativo, il Garante Privacy ha pubblicato linee guida dettagliate sulla gestione dei data breach, utili per comprendere gli obblighi che scattano in caso di incidente. I riferimenti più rilevanti sono disponibili qui:
– Linee guida del Garante sul data breach: https://www.garanteprivacy.it/home/provvedimentinormativa/provvedimenti/dettaglio?id=8198780
– Sezione dedicata agli obblighi di sicurezza nel GDPR (artt. 32–34): https://www.garanteprivacy.it/regolamentoue
– Approfondimenti su notifiche e procedure: https://www.garanteprivacy.it/temi/data-breach
Sono proprio queste norme a stabilire che l’azienda deve essere pronta a notificare rapidamente l’evento, a documentarne le cause e ad adottare misure correttive adeguate. Avere un piano di gestione degli incidenti, come quello descritto nella sezione dedicata del sito UC Group (https://www.uc-group.it/servizi/gestione-data-breach ), diventa quindi uno strumento essenziale.
Il caso Google invita ogni organizzazione a porsi alcune domande: i dipendenti saprebbero riconoscere un tentativo di vishing? Esistono procedure interne per verificare l’identità di chi chiede accessi o assistenza tecnica? I fornitori vengono controllati periodicamente? È già pronto un piano di comunicazione da utilizzare in caso di incidente? Se la risposta a una di queste domande desta dubbi, significa che c’è ancora spazio per rafforzare la propria resilienza. La conclusione è chiara: la sicurezza non è fatta solo di strumenti tecnologici, ma di cultura, consapevolezza e processi interni ben costruiti. La vulnerabilità principale, ancora oggi, è la persona. Investire nella formazione,( Come approfondito nell’articolo “Formazione privacy: molto di più di un semplice adempimento” (https://www.uc-group.it/formazione-privacy-molto-di-piu-di-un-semplice-adempimento/), nella gestione dei fornitori e nella prevenzione significa tutelare non solo i dati, ma la fiducia dei clienti e la continuità operativa. Chi desidera approfondire questi temi o costruire un piano personalizzato può affidarsi al supporto dei professionisti UC Group, che affiancano le aziende nel delicato percorso di protezione e crescita digitale.